Dagli inviati Arga Lombardia-Liguria Sabrina Pinardi e Luca Angelini
(Charmey, Regione Friburgo – Svizzera) Cosa succederà dopo il 31 marzo 2015, quando il regime delle quote latte dell’Unione Europea finirà nella soffitta della storia? Per tentare di scoprirlo, forse conviene dare un’occhiata a chi le quote latte le aveva e le ha già abolite: la Svizzera, dove erano state introdotte nel 1977 e sono state cancellate l’1 maggio 2009.
Se ne è parlato nella prima giornata del Dairy Press Tour organizzato dall’Ifaj (International Federation of Agricultural Journalists) a Charmey, in Svizzera, zona di produzione di uno dei più noti formaggi elvetici, il Gruyère.
PREZZI PIU’ REMUNERATIVI PER I PRODUTTORI – Qualche premessa, prima di azzardare confronti, va fatta. Perché la Svizzera è un caso un po’ particolare. Intanto, il mercato del latte e dei latticini (a differenza di quello dei formaggi, aperto nel 2007 al libero commercio con la Ue) gode ancora di protezioni sulle importazioni. Inoltre, la Confederazione sussidia con pagamenti diretti chi produce rispettando parametri ecologici. Il risultato è che, nel 2011, mentre nell’Europa a 27 il prezzo medio del latte è stato di 41 centesimi di franco svizzero al chilo, in Svizzera è stato di poco meno di 61 centesimi per quello industriale e di quasi 67 centesimi per quello destinato alla produzione di formaggi.
E’ in ogni caso interessante osservare la strategia di uscita “morbida” dalle quote praticata dalla Confederazione e illustrata da Jacques Chavaz, direttore generale dell’Ufficio federale dell’agricoltura di Berna. Nei tre anni prima dell’abolizione delle quote (2006, 2007 e 2008) si è data agli allevatori, attraverso le loro organizzazioni, la possibilità di uscire volontariamente, in anticipo, dal regime delle quote. Inoltre, dal 2009 al 2015 è in vigore l’obbligo di un contratto di almeno un anno tra produttore di latte e primo acquirente.
I NUMERI DEL LATTE NELLA CONFEDERAZIONE ELVETICA – Ha funzionato, la strategia svizzera? I numeri dicono che, dal 2005 (ultimo anno prima delle prime uscite dal regime delle quote) al 2012, la produzione di latte è aumentata, ma non schizzata alle stelle: da 3,18 milioni di tonnellate a 3,33 milioni (+ 8,8%). Il numero di produttori è calato (da 30.163 a 24.369), ma le aziende si sono ingrandite o sono diventate più produttive (la media per azienda agricola è passata da 100.761 a 137.800 kg di latte per anno). E i prezzi? Quello del latte destinato a latticini è sceso molto (da 70,72 franchi per 100 kg a 57,88), mentre quello per i formaggi ha tenuto meglio: da 74,09 franchi per 100 chili nel 2005, a 70.84 nel 2012. Va però considerato che le aziende si sono sgravate del peso finanziario per l’acquisto delle quote.
QUOTE LATTE IN PENSIONE DALL’1 APRILE 2015 – Torniamo alla domanda iniziale: cosa succederà dall’ 1 aprile 2015 nell’Unione Europea? Nulla di sconvolgente, a sentire Carlos Martìn Ovilo, direttore generale Agricoltura e sviluppo rurale della Commissione Ue: “Non ci aspettiamo alcuno shock in termini di produzione con la fine delle quote nel 2015. Anche perché, dall’annata 2006-2007, la produzione lattiera nell’Ue è costantemente al di sotto di quella concessa dalle quote”. Oltre 10 milioni di tonnellate in meno nel 2012.
LA SITUAZIONE IN EUROPA – Va però detto che se, dal totale, si passa ad analizzare i singoli Paesi Ue, la situazione è assai composita. Se, per dire, nell’ultima annata il Belgio ha prodotto oltre il 55% in medo della quota assegnatagli e la Francia il 7,3% in meno, alcuni grandi produttori si sono mantenuti un filo al di sotto o un filo al di sopra del dovuto: la Germania e la Polonia + 0,1%, l’Olanda e l’Italia (storico “sforatore” di quote), – 0.4%. Insomma, dire che dal 1 aprile 2015, nell’Europa del latte non succederà nulla o quasi, forse è un po’ azzardato.
Quanto all’esempio svizzero, una delle lezioni è che, per evitare oscillazioni di prezzo, conviene fare squadra anziché muoversi in ordine sparso (“29 organizzazioni dei produttori, più 9 di produttori e trasformatori, più una di filiera sono troppe e hanno indebolito la capacità negoziale delle singole organizzazioni” ha sottolineato Chavaz) . Con l’avvertenza aggiuntiva che il sistema si è rivelato meno flessibile ad adattarsi alle riduzioni di produzione che non agli aumenti della stessa.
UNO STATO CHE “VUOL BENE” AI SUOI AGRICOLTORI – Forse la vera lezione di cui far tesoro è quella di Fritz Glauser, presidente del sindacato allevatori di Friburgo e vicepresidente di quello svizzero: “Nel nostro Paese, la gente vuol bene ai suoi agricoltori e, quando ci sono difficoltà, si schiera con loro”. In Italia si può dire la stessa cosa?