Un altro terremoto. Sui monti del reatino, nelle zone del Lazio colpite quattro anni fa dal sisma che ha causato distruzione e morte, l’emergenza per il Covid-19 ha forse dato il colpo di grazia ad un’economia agricola che stava faticosamente e con caparbietà cercando di rialzarsi dal tappeto. Il lockdown, ragionevolmente imposto per evitare guai maggiori dal punto di vista sanitario, ha avuto ripercussioni economiche negative non solo in quelle zone, ma in tutto il territorio laziale, dove la produzione agricola e l’industria agroalimentare rappresenta la gran parte del Pil regionale.
Anche se le attività agricole sono state (ovviamente) consentite durante i giorni di clausura sociale, se il supporto dei Consorzi di bonifica è proseguito senza interruzione, se il raccordo con le organizzazioni di categoria non è mancato, i problemi per gli operatori del settore si sono presentati e si presentano ancora in modo pesante, come i vari media hanno potuto ampiamente testimoniare ogni giorno anche grazie al lavoro dei giornalisti iscritti ad ARGA Lazio. Senza dover ricordare i disagi provocati dalla scoperta di alcuni operatori contagiati dal virus al MOF, il Centro Agroalimentare di Fondi (il più grande mercato ortofrutticolo d’Italia), bastano un paio di esempi per dare un’idea di quanto sta avvenendo.
Il primo, che peraltro in questi giorni è al centro dell’attenzione per motivi di carattere etico e sociale, è quello relativo ai lavoratori stagionali. Non si trovano. Le aziende agricole laziali (ma è senz’altro un problema nazionale) affermano di essere in forti difficoltà, vista l’impossibilità di avvalersi di lavoratori provenienti dall’estero: soprattutto dall’India, almeno nella zona dell’Agro Pontino, dove la produzione di fiori e fragole in questi mesi è andata quasi del tutto in malora. Secondo esempio, quello del comparto lattiero-caseario. Il ridotto consumo derivante specialmente dalla chiusura del settore ho.re.co. e la concorrenza dell’importazione dal nord Europa hanno prodotto un calo drastico del prezzo del latte alla stalla. Meno 4-5 centesimi/litro per quello di mucca (i caseifici avevano addirittura “consigliato”, ad inizio lockdown, di ridurre la produzione abbattendo capi o diminuendo il quantitativo di mangime) e addirittura meno 80 centesimi (dagli originari 1,80 euro/litro) per quello di bufala, scaricando in quest’ultimo caso sugli allevatori il costo del congelamento di questa preziosa materia prima per le famose “mozzarelle”.
Insomma, una situazione dalla quale non sarà facile venir fuori senza pesanti perdite. La speranza per gli agricoltori laziali, oltre che dagli attesi contributi della Regione Lazio, è riposta solo nella fine del periodo emergenziale.
Roberto Ambrogi (Presidente ARGA Lazio)