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IN BASILICATA UN‘AGRICOLTURA DI QUALITÁ CON LA FRAGOLA CANDONGA E LE ALTRE ECCELLENZE

Piccoli frutti lucani

di Rino Cardone, Associazione della Stampa della Basilicata

Ha raggiunto elevati standard qualitativi l’agricoltura in Basilicata: regione a forte vocazione agraria. Prodotto di punta è la ‘fragola candonga’ che s’impianta e si raccoglie nel metapontino. Si tratta di un frutto raggiunge i mercati già dai mesi di gennaio e febbraio. Il fatturato stimato di questa produzione agricola si aggira intorno agli 80 milioni di euro l’anno. Le coltivazioni assorbono molta manodopera: non solo locale ma anche proveniente dalle vicine regioni, Puglia e Calabria. Complessivamente sono 700 gli ettari impegnati, in maniera specifica, alla produzione della ‘fragola candonga’. A questa varietà si aggiungono, poi, altri 220 ettari dedicati ad altre cultivar. Sempre sulla fascia jonica lucana sono entrati, di recente, in produzione lamponi e piccoli frutti: ribes e mirtilli. Si tratta di produzioni svolte, in molti casi, fuori suolo. Coltivazioni eccellenti che stanno riscuotendo buoni apprezzamenti da diversi mercati nazionali ed esteri. La grande distribuzione organizzata è di casa, ormai da anni, in Basilicata: nel metapontino con le produzioni di fragole, agrumi, pesche e nettarine. E nell’area nord della Basilicata – a ridosso del fiume Ofanto – con le colture orticole, che rappresentano circa il 3% della superficie impegnata, globalmente, in Italia e altrettanto in termini di fatturato. Nelle aree interne – a forte vocazione agro pastorale – si coltiva l’olivo con trasformazione effettuata, per lo più, in loco. Nelle pianure si produce, invece, il grano. Questo accade: lungo il corso del fiume Bradano e sugli altopiani del Vulture. La vite ha avuto una discreta impennata di realizzazione di nuovi impianti dopo che la regione ha ottenuto quattro denominazioni di origine controllata: “l’Aglianico del Vulture”, le “Terre dell’Alta Val d’Agri”, il “Grottino di Roccanova” e il “Matera”. Nei territori montani del massiccio del Pollino, si sono aggiunte alle colture tradizionali (fagiolo bianco e melanzana rossa, di Rotonda) le coltivazioni di piante, di fiori e di erbe officinali, anche in questo caso trasformate sul posto. Nell’alta Valle dell’Agri la produzione della mela ha raggiunto modelli di qualità, paragonabili a quelli del Trentino Alto Adige. Nell’area del Marmo-Melandro si sta affermando la coltivazione del ‘peperoncino piccante’: apprezzato, alla pari, di un altro peperone, quello di Senise, che nulla ha a che fare con il sapore acceso della spezia autoctona di Satriano di Lucania. È a Picerno, Baragiano, Bella e Muro lucano che il comparto primario assume un altro volto: con più zootecnia e meno agricoltura. Elevato è il numero di stalle che insistono su questa porzione di territorio, che era un tempo vocato all’allevamento allo stato brado (specie per gli ovini) e che ora dispone, invece, di un gran numero di stabilimenti, dove la raccolta del latte raggiunge risultati sorprendenti: tanto per qualità e tanto per quantità raccolte. Colture innovative, come la produzione di nocciole e pistacchio, si trovano nella bassa Valle del Sinni e fanno il paio – in quanto a tipo di originalità – con tutte quelle cultivar che qua e là in Basilicata, provano a recuperare il valore della tradizione per ‘traghettarlo’ nel rispetto delle biodiversità.

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