Dal 30 novembre all’11 dicembre2015 ha avuto luogo la XXI° Conferenza delle parti (Cop21) nell’ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (Unfccc), la
quale, per i 150 leader mondialiriuniti a Parigi, ha rappresentato l’ultima chiamata per salvare il pianeta.
Un evento straordinario ed una sfida globale il cuiprimo obiettivo è stato siglare un accordo storico che limitasse il riscaldamento climatico per evitare una catastrofe ambientale irreversibile. L’obiettivo della Cop21 era concludere il primo a ccordo universale e vincolante, applicabile a partire dal 2020 ai 195 paesi della convenzione, per limitare l’aumento delle temperature a due gradi centigradi rispetto all’epoca pre-industriale.
L’ACCORDO DI PARIGI
Dopo due settimane di negoziati il nuovo accordo sul clima è stato firmato dai rappresentanti dei diversi paesi presenti alla Cop21. Ecco i punti principali dell’accordo finale e della decisione che
lo accompagna:
Riscaldamento globale
L’articolo 2 dell’accordo fissa l’obiettivo di restare “ben al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali”, con l’impegno a “portare avanti sforzi per limitare l’aumento di temperatura a
1,5 gradi”.
Obiettivo a lungo termine sulle emissioni
L’articolo 3 prevede che i Paesi “puntino a raggiungere il picco delle emissioni di gas serra il più presto possibile”, e proseguano “rapide riduzioni dopo quel momento” per arrivare a “un equilibrio tra le emissioni da attività umane e le rimozioni di gas serra nella seconda metà di questo secolo”.
Impegni nazionali e revisione
In base all’articolo 4, tutti i Paesi “dovranno preparare, comunicare e mantenere” degli impegni definiti a livello nazionale, con revisioni regolari che “rappresentino un progresso”
rispetto agli impegni precedenti e “riflettano ambizioni più elevate possibile”.
I paragrafi 23 e 24 della decisione sollecitano i Paesi che hanno presentato impegni al 2025 “a comunicare entro il 2020 un nuovo impegno, e a farlo poi regolarmente ogni 5 anni”, e chiedono a quelli che già hanno un impegno al 2030 di “comunicarlo o aggiornarlo entro il 2020”. La prima verifica dell’applicazione degli impegni è fissata al 2023, i cicli successivi saranno quinquennali.
L’Europa, ad esempio, dovrebbe rivedere rapidamente i propri obiettivi al 2030 portando al 50% il taglio delle emissioni, al 35-40% la riduzione dei consumi tendenziali e al 33% la quota delle
rinnovabili. Per l’Italia si tratta di definire una reale politica climatica che coinvolga energia, industria, edilizia, trasporti e agricoltura. Andrà responsabilizzato un ministro “forte”, come hanno
fatto i francesi, o il coordinamento delle varie politiche dovrà essere gestito dalla presidenza del
consiglio.
Loss and damage
L’accordo prevede un articolo specifico, l’8, dedicato ai fondi destinati ai Paesi vulnerabili per affrontare i cambiamenti irreversibili a cui non è possibile adattarsi, basato sul meccanismo sottoscritto durante la Cop 19, a Varsavia, che “potrebbe essere ampliato o rafforzato”. Il testo “riconosce l’importanza” di interventi per “incrementare la comprensione, l’azione e il supporto”, ma non può essere usato, precisa il paragrafo 115 della decisione, come “base per alcuna responsabilità giuridica o compensazione”
Finanziamenti
L’articolo 9 chiede ai Paesi sviluppati di “fornire risorse finanziarie per assistere” quelli in via di sviluppo, “in continuazione dei loro obblighi attuali”. Più in dettaglio, il paragrafo 115
della decisione “sollecita fortemente” questi Paesi a stabilire “una roadmap concreta per raggiungere l’obiettivo di fornire insieme 100 miliardi di dollari l’anno da qui al 2020”, con
l’impegno ad aumentare “in modo significativo i fondi per l’adattamento”.
Da una recente relazione dell’Ocse e dalla Climate Policy Initiative è emerso come nel 2014 siano stati mobilitati 62 miliardi di dollari (la maggior parte dall’UE), il che significa che i paesi sviluppati sono sulla buona strada per il raggiungimento dell’obiettivo.
Trasparenza
L’articolo 13 stabilisce che, per “creare una fiducia reciproca” e “promuovere l’implementazione” è stabilito “un sistema di trasparenza ampliato, con elementi di flessibilità
che tengano conto delle diverse capacità”.
Nonostante non siano mancati pareri contrari, si tratta per certi versi di un accordo storico, se non fosse altro che per l’obiettivo ambizioso, il riconoscimento del rischio rappresentato dal
riscaldamento globale e della necessità di una risposta collettiva, e soprattutto della straordinaria – universale – partecipazione.
A CHE PUNTO È L’ITALIA
In Italia, nel 2013, le emissioni totali di gas serra espresse in CO2 equivalente, sono diminuite del 6,7% rispetto all’anno precedente e del 16,1% rispetto all’anno base (1990); questo il dato
comunicato, nell’ambito della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (Unfccc) e del protocollo di Kyoto, dall’Ispra che, come ogni anno, ha realizzato l’inventario
nazionale delle emissioni in atmosfera dei gas serra.
Tra il 1990 e il 2013 le emissioni di tutti i gas serra in Italia sono passate da 521 a 437 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. Inoltre, i dati preliminari del 2014, segnalano un’ulteriore
flessione rispetto al 2013, con un livello emissivo totale pari a 417 milioni di tonnellate.
La riduzione, riscontrata in particolare dal 2008, è il risultato sia della riduzione dei consumi energetici e delle produzioni industriali a causa della crisi economica e della delocalizzazione di
alcuni settori produttivi, sia della crescita della produzione di energia da FER, come idroelettrico ed eolico, e dell’incremento dell’efficienza energetica.