Spesso balza alle cronache la protesta degli allevatori siciliani che chiedono un riconoscimento maggiore al prezioso latte prodotto dai loro animali e che arriva sulle tavole pastorizzato o trasformato. 33,50 centesimi al kg è in Sicilia l’attuale prezzo senza IVA. Dal Lazio in su, invece, ha raggiunto i 38,50 centesimi senza IVA: una differenza eccessiva, ingiusta, che non va giù, oltre che agli allevatori, nemmeno al Commissario dell’ARAS (Associazione Regionale Allevatori Sicilia), Alessandro CHIARELLI. Il problema non riguarda solo il basso prezzo del latte di vacca, ma anche quello di pecora (55 centesimi al kg), il cui numero di capi allevati in Sicilia pone la nostra regione al secondo posto in Italia. Il nostro latte di vacca vale almeno 50 centesimi e 80 quello di pecora. Meriterebbe davvero maggiore attenzione per la sua qualità.
«Questo è l’ennesimo esempio penalizzante che differenzia la Sicilia dal Nord. Per quanto tempo – si chiede Chiarelli – noi siciliani saremo costretti a subire questa ingiustizia? Chiediamo che agli allevatori venga riconosciuto almeno un prezzo uguale a quello pagato al Nord dalle industrie di trasformazione».
Il caso siciliano è stato portato all’attenzione dei prefetti e del presidente della Regione. Un vero e proprio grido di allarme che si fa sempre più incalzante, considerato che molti allevamenti vanno in dissesto economico e chiudono i battenti, considerato, inoltre, che molte famiglie non possono più continuare la tradizione dei loro avi.
«Ma si vuole salvare davvero la zootecnia siciliana e le famiglie degli allevatori? – si chiede ancora il Commissario dell’ARAS – e quante azioni le istituzioni del settore avrebbero potuto mettere in campo per imporre la dovuta trasparenza nell’origine e nella filiera completa nella commercializzazione dei prodotti della nostra terra? Solo aggrappandosi ad attività integrative fino ad oggi è stato possibile salvare economicamente molti allevamenti. Quanto deve durare l’emergenza?».
(Comunicato Stampa ARAS)