di Roberto Zalambani, Presidente UNARGA
Amare Matera in due giorni. Impresa non impossibile se ci si affida a Giuseppe Abbatino, maestro nel condurre e raccontare, a Francesco Paolo Fontana, autista con la vocazione per i luoghi del cibo e soprattutto a Raffaele Natale, guida del Parco della Murgia Materana, ‘Maestro del territorio’ e volontario del soccorso, scrittore niente male.
“Matera è tra gli insediamenti umani più antichi del mondo – spiega Natale – e le grotte sono stati i rifugi naturali per l’uomo preistorico, prima nomade e poi stanziale. Sgrossate, le grotte sono diventate ricovero di animali, rifinite abitazioni, arricchite con architetture e immagini sacre luoghi di culto. Tutto il parco è costellato di casali rupestri, una volta abitati da famiglie che facevano capo a una chiesa rupestre, luogo di culto e luogo cimiteriale”.
Poi l’uomo si è spostato progressivamente nel centro abitato di Matera popolando le zone laterali alla Civita e dando vita ai Sassi Caveoso e Barisano.
“Un dedalo di vie e viuzze, scale e scalette – continua – strade che diventano i tetti delle abitazioni sottostanti, armonici vicinati. Un attento sistema di canalizzazione che capta le acque meteoriche e le convoglia attraverso dissabbiatori nelle cisterne a campana rivestite in coccio pesto. Un’ urbanistica verticale che rende i Sassi di Matera un sito unico e dal fascino inimitabile”.
Un lungo periodo di degrado e poi il miracolo turistico e culturale con un intreccio armonico di archeologia, di ambiente, di arte, di enogastronomia e di tradizione. Con i marchi di qualità dell’Unesco e dell’Europa. Difficile scegliere tra i tanti luoghi, tra itinerari che si intrecciano nelle viscere della terra dove si raggiungono in pochi minuti punti di interesse che sembrano lontani. Come da piazza Vittorio Veneto alla Cattedrale e alle chiese rupestri di Santa Maria de Idris e di San Giovanni in Monterrone. Nella prima, sul pavimento restaurato, alcune mattonelle in ceramica dall’ingresso all’altare, servivano ad accompagnare i devoti che sceglievano di percorrere l’ultimo tratto del pellegrinaggio strisciando la lingua. Ristoranti con nomi di santi con gradoni a scendere che portano in grotte comunicanti; cisterne d’acqua diffuse che trovano il loro monumentale simbolo nel Palombaro Lungo realizzato nel ‘500 e capace di cinque milioni di litri. Quando si entra nella casa grotta del Vicinato, antica abitazione arredata con mobili e utensili utilizzati fino agli anni ’60 del secolo scorso, si riscopre la vita di convivenza tra uomini e animali in una grotta progressivamente scavata per aumentare gli spazi per una famiglia anche numerosa, scaldata dal calore animale con il lettone rialzato a protezione dall’ umidità e della chioccia.
Le nascite, le morti, le feste patronali erano occasioni per rinsaldare i vincoli del vicinato. Dal centro storico, dove per un mese sono state provate le scene mozzafiato di 007, si intravede il crinale della Murgia Materana dove sono state “girate” le passioni di Cristo di Pasolini nel 1964 e di Gibson nel 2004, che rivivono nelle fotografie di Domenico e Antonio Notarangelo e di Geo Coretti. Pochi minuti e raggiungiamo con un pullmino rosso quel crinale da cui si dipartono valloni e altri crinali. E chi meglio di Raffaele Natale ce li può descrivere: “In silenzio percorriamo gli stretti sentieri battuti da uomini e animali. Attraverso le macchie di lentisco e di ginepro. Rocce ricoperte di muschi e licheni, foglie d’acanto e querceti di roverelle e fragni mi spingono a cercare, seminascoste nella vegetazione, la mano dell’uomo. Una cisterna a caduta con le pareti di coccio pesto, rimaneggiata, trasformata in stalla con ancora le boccole per legare gli animali ricavate nel banco di calcarenite e le mangiatoie scolpite. Il sentiero mostra canali di scolo e tombe alto medioevali e, seminascosto tra i fitto fogliamo, ecco l’ingresso della cripta del Canarino con le profonde incisioni, le eleganti croci graffite da ebrei convertiti o da pellegrini. Una scaletta intagliata mi conduce, tra il verde delle macchie di alaterno e di terebinto, a una serie di tombe ad arcosolio. Mi sporgo su uno sperone roccioso e sotto scorgo l’ingresso della chiesa della Madonna della Loe e poco più avanti nella chiesa bi absidata di Sant’Andrea, trasformata in ovile ma con ancora i due altari addossati ed un pilastro centrale. Proseguendo tra tombe di calcarenite, intravedo in lontananza il paese di Montescaglioso e, tra le macchie, la Masseria Selva Venusio e, più in basso, la Masseria Irene, In un complesso rupestre ormai interrotto da frane si trova la cripta di Pandona e poi la parte superiore della chiesa di Sant’ Eustachio, con i suoi tre altari laterali e l’ affresco del santo che contempla il Cervo Crucifero”.
Quanto ancora ci sarebbe da chiedere, da ascoltare, da raccontare. Anche sulla Matera da gustare partendo dal pane che, come quelli di Altamura e di Laterza, è buono e profuma delle radici del mondo rurale, cibo prediletto da contadini, pastori e gualani, gli stagionali chiamati a custodire terre e animali. Il pane doveva durare quindici giorni perché pastori e gualani potessero tornare al paese per il cambio della biancheria e per gli acquisti alimentari soprattutto di pane che veniva consumato fresco la prima settimana e raffermo la seconda, tagliato a fette con il latte caldo d’ inverno e con il pomodoro, l’origano, l’olio e il sale d’estate. La sua forma, tagliata a metà, é alta, di colore giallo, croccante all’esterno e soffice dentro. Il lievito madre era un bene prezioso; se finiva, si andava a prestito e il non restituirlo portava male. Avrei voluto terminare questi due giorni inebrianti a cavallo del Capodanno con Marilena, Stefania e Marco nell’azienda vitivinicola di Michele Dragone, che ho sentito al telefono, ma il tempo è mancato. Sarà la meta privilegiata di un altro viaggio per due motivi: il primo perché la sua tenuta, a dodici chilometri dal capoluogo, racchiude la straordinaria Cripta del Peccato Originale, lungo un versante della Gravina di Picciano, suggestiva testimonianza dell’arte rupestre nell’Italia meridionale con pregevoli affreschi di stile longobardo-benedettino che hanno spinto gli abitanti ad indicarla come la “Grotta dei Cento Santi”, tanti sono quelli che ti osservano dalle pareti, un tutt’uno con l’albero del frutto del peccato, il fico e non la mela, e una distesa di fiori tanto vasta che l’ignoto artista è stato definito “il pittore dei fiori”.
Il secondo motivo è legato allo spumante “Ego Sum” prodotto da Michele Dragone e dalla sua bella famiglia, premiato come “Campione del mondo Rosé da vitigni autoctoni”, uno spumante metodo classico di Primitivo, Dop Matera brut rosé; quattromila piante in tutto con raccolta manuale delle uve e affinamento in bottiglia per almeno 12 mesi. Acquistata una bottiglia, sarà il degno complemento di una cena tipica lucana ancora tutta da studiare e sperimentare.