Sono presenti nuovi focolai della Lingua Blu in numerosi allevamenti ovini nelle province di Nuoro, Ogliastra e Oristano, coinvolgendo 28.404 capi (con 2.290 che hanno evidenti sintomi della malattia e 107 morti).
Mentre vi sono 12 focolai sospetti che riguardano 2.198 capi. Situazione che allarma gli allevatori isolani, che attraverso le proprie associazioni hanno espresso inquietudine e paura per la diffusione del virus. La CIA SARDEGNA attraverso un comunicato stampa evidenzia “i ritardi della campagna vaccinale contro la Lingua Blu, che avrebbe dovuto rappresentare un argine contro il ritorno del virus e contro le nefaste ripercussioni economiche che una nuova epidemia di Blue Tongue avrebbe sulle aziende zootecniche già fortemente colpite dalla crisi innescata dalla pandemia di Covid. Le vaccinazioni andavano programmate a partire da maggio e oggi dovevano essere già concluse. La Sardegna si trova, invece, a dover fronteggiare una ennesima emergenza sanitaria che rischia di spazzare via centinaia di allevamenti e imprese agricole. Anche la Coldiretti Sardegna ha espresso un comunicato nel quale evidenzia che “la crescita repentina dei focolai testimonia che il morbo della blue tongue si sta espandendo a macchia d’olio – ribadisce Battista Cualbu presidente di Coldiretti Sardegna – questo significa che adesso occorre lasciare le polemiche e concentrare le forze per fermare il morbo mettendo in sicurezza gli allevamenti e cominciando a vaccinare laddove non si è fatto dalle zone più a rischio”. Secondo Luca Saba direttore di Coldiretti Sardegna è necessario “un intervento immediato e massiccio in modo da limitare i danni ed evitando perdite ed immagini che nel recente passato hanno fatto male a tutti. Allo stesso modo è però necessario programmare dei rimborsi per gli allevatori che hanno subito la perdita delle pecore”. Questo temibile morbo che colpisce anche gli ovini è possibile bloccare il virus grazie ad una efficace attività di monitoraggio e prevenzione rigorosa e costante nel tempo. Ma a causa di un numero insufficiente di medici veterinari preposti alla somministrazione dei vaccini, il virus ha dilagato nelle campagne dell’Ogliastra, del Nuorese e dell’Oristanese. Una situazione di emergenza sanitaria difficile e problematica, che richiede rigorose procedure e strategie. E’ necessaria una strenua lotta contro gli insetti vettori della Blue Tongue cruccio e disperazione degli allevatori sardi.
La Blue Tongue o Febbre Catarrale non è una zoonosi e pertanto non infetta l’uomo. Infatti non esiste nessun pericolo di infezione attraverso il consumo della carne e del latte. Speriamo in tempi migliori.
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Manifestazione per il popolo afgano a Berlino (Foto: John MacDougall/Afp via @IFJGlobal)
Anche UNAGA, tra le Associazioni che aderiscono a #SAVEAFGHANWOMEN, salviamo le donne afghane. Al via la mobilitazione anche a Venezia. La libertà delle donne afgane è la nostra libertà. Informare, raccontare, solidarizzare è vitale.
Flash mob in campo San Geremia a Venezia il 26 agosto alle ore 12:00 con cui le donne veneziane aderiscono alla mobilitazione #SAVEAFGHANWOMEN, SALVIAMO LE DONNE AFGHANE lanciata da RadioBullets e Noveonlus, realtà da sempre attive e attente a quanto accade in Afghanistan e in particolare alla condizione femminile con iniziative concrete di sostegno, assistenza, formazione, aiuto. Ad organizzarlo Venezia Manifesta, Sindacato giornalisti Veneto, Associazione stampa veneziana con l’adesione di Articolo 21 Veneto, Coordinamento Donne SPI Metropolitano, Il granello di senape nella consapevolezza che informare, raccontare, solidarizzare mai come in questo momento sia vitale.
Parteciperanno Barbara Schiavulli, giornalista “di casa” in Afghanistan che ha tentato di partire e sta tentando di partire per Kabul per essere testimone diretta di quanto sta accadendo e direttrice di Radio Bullets, Hamed Hamadi ristoratore di Venezia che si è battuto per far rientrare in Italia la sorella Zahra attivista bloccata in Aghanistan dopo la presa dei Talebani, il presidente della Federazione nazionale della stampa, FNSI, Giuseppe Giulietti, l’attrice Ottavia Piccolo.
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di Patrizia Biagi, Presidente Agas e Consigliere nazionale Unaga
La costituzione del Parco Naturalistico regionale dei Monti Peloritani è una proposta del Gal Tirrenico. L’idea, vanzata qualche anno fa, potrebbe diventare realtà seguendo le linee di indirizzo della propria Governance e grazie alle competenze del suo Ufficio di Piano.
Il principale motivo dell’ interesse del Gal Tirrenico sta nel fatto che insiste proprio dentro i Monti Peloritani su quella linea naturale che li distinguono sia dai Monti Nebrodi che dalla Valle dell’Alcantara e unisce idealmente il promontorio di Tindari con Basicó, Tripi e Novara di Sicilia e che trova nella storia millenaria le ragioni di una naturale, ma inclusiva, demarcazione. L’iniziativa, per realizzarsi, deve trovare convergenza a tutti i livelli e con tutte le forze politiche, perché l’ambiente é di tutti. Le tragedie di questi giorni, con decine di migliaia di ettari andati in fumo, con milioni di danni a cose e persone e di migliaia di innocenti animali trucidati dal fuoco, devono far riflettere sia per superare barriere e preconcetti, che per mettere mano ad una gestione sostenibile del creato. Il GAL Tirrenico avrebbe il ruolo di sostegno sia per la nascita di nuovi strumenti di sviluppo, come i Contratti di Fiume, che per il nuovo organismo come è il Parco Naturalistico Regionale dei Monti Peloritani. Strumenti a cui il GAL non deve sostituirsi, ma che può, invece, accompagnare e fare da viatico, già nella fase formativa e costitutiva, per poi, assieme, continuare a progettare il futuro della Sicilia a partire dai Monti Peloritani. Il territorio dei Monti Peloritani è già in gran parte una vasta area protetta, visto che ricadono integralmente diverse aree protette di Natura 2000, tra Siti di interesse comunitario (Sic) e Zone di protezione speciale (Zps), la Riserva naturale orientata di Fiumedinisi e Monte Scuderi, oltre a migliaia di ettari di demanio forestale regionale. Agli aspetti naturalistici del “Parco” vanno sommati quelli umani, segnati da una presenza che rivela emergenze di tipo architettonico, archeologico ed etnoantropologico. Piccoli centri abitati, Castelli, fortificazioni, monasteri, chiese, siti archeologici, forti e strade militari, fontane, abbeveratoi, acquedotti, mulini ad acqua, palmenti, trappeti, opifici industriali, sentieri storici, neviere, abitazioni rurali, recinti per animali, muretti di pietrame a secco. Tra tutti, la ex Strada militare che dallo Stretto, costituisce elemento di rilievo, testimonianza della via da Portella Mandrazzi, tra Novara e Francavilla di Sicilia. (…)
Quella del Parco sarebbe un’area di poco superiore a 50.000 ettari, ricadente al di sopra dei 300-400 metri di quota, distribuita su una trentina di Comuni, che vanno da Messina a Taormina, a Novara di Sicilia, a Tripi. Il Parco, indubbiamente, aiuterebbe ad incrementare e diversificare i flussi turistici, che comporterebbe l’aumento della commercializzazione dei beni materiali, e in primo luogo dei prodotti agricoli tipici di qualità, e dell’artigianato storico. Come già accaduto in altre realtà, anche qui il Parco potenzierebbe quel modello alternativo di gestione territoriale che i GAL propongono, specialmente in un territorio come i Peloritani dove i Comuni, piccoli o piccolissimi, sono incapaci, da soli, di mettere in campo programmi articolati di sviluppo sia per la diffusione di interventi strutturali, per la formazione e per la diffusione di una cultura imprenditoriale e di microaziende sostenibili. L’auspicio é che anche altri GAL condividano la proposta, per motivi di appartenenza geografica, per un supporto di esperienze e conoscenza, ma anche e soprattutto per amore del pianeta.
Un percorso sostenibile che é già nel programma del convegno che a breve si terrà su iniziativa del Gal Tirrenico per iniziare il cammino e la nascita del Parco Naturalistico regionale dei Monti Peloritani.
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di Fabrizio Salce, Arga Piemonte Valle d’Aosta e Cts Unaga
Una terra chiamata Roero di cui ne fanno parte 25 territori comunali su una superficie di 420 km² e con una popolazione di circa 75.000 abitanti. Le tante torri e castelli presenti in questo anfratto di Piemonte testimoniano un passato nobile e aristocratico.
Il paniere dei prodotti tipici è decisamente variegato: i vini rossi e bianchi, le pesche, le fragole, le pere della Madernassa, le nocciole del Piemonte e le castagne. E poi la tinca gobba, gli asparagi, le carni e l’elemento più rappresentativo della cucina: il tartufo bianco, che qui è l’ultimo della stagione ma il primo dell’annata. Lo si cerca e raccoglie infatti durante le prime settimane dell’anno nuovo.
Molte sono le cantine roerine 4 delle quali le troviamo nel Comune di Montaldo Roero. Le 4 cantine di Montaldo Roero sono piccole realtà famigliari che producono i vini tipici di questa terra come il Roero, l’Arneis, la Favorita, la Barbera e meritano di essere menzionate.
Iniziamo con una Ilaria Bertello e la sua famiglia. Li conosciamo come Cascina Ciapat, un nome curioso che deriva dal bricco Ciappetto. Ilaria, mamma da meno di un anno, rappresenta la quarta generazione. Il bisnonno Giacomo, il nonno Antonio, il papà Giacomo, lo zio Piero e il fratello Luca. In cascina si lavorano 15 ettari di vigneto, una parte delle uve viene venduta e un’altra vinificata per una produzione di circa 20 mila bottiglie. Tra i loro vini spiccano il Roero DOCG, e l’Arneis DOCG. La storia dell’azienda risale al 1890 ed situata in frazione San Rocco.
A pochi metri di distanza, sempre a San Rocco, l’allegro sorriso di Giovanni Frea con il fratello Lorenzo. Pur essendo un’azienda tramandata da generazioni una svolta importante l’ha vissuta nel 2002 e da quella data la crescita è stata costante. Terreni e condizioni climatiche favorevoli, ma anche investimenti tecnologi e tanta passione nella produzione dei loro vini. Nebbiolo, Arneis, Favorita, Barbera giusto per citarne alcuni.
A San Giacomo di Montaldo, un’altra frazione, il simpatico e gentile Giuseppe Parussa, in Cascina Foetto, produce circa 10 mila bottiglie all’anno lavorando 3 ettari di vigneto. Beppe è un pronipote, nipote e figlio di uomini che da sempre hanno fatto vino e di conseguenza lui ha imparato dal papà. La famiglia è originaria della borgata Cagnola e non si esclude che affondi le proprie radici nel lontano 1200. Langhe Arneis, Langhe Roero e poi Barbera, Nebbiolo tutti vini tipici con una dichiarata identità territoriale.
Nel capoluogo, a Montaldo, due giovani: Giorgio ed Edoardo Musso. Montaldesi DOC, nonni e genitori di Montaldo dunque veraci al 100%. Producono poche bottiglie, molta dell’uva raccolta viene infatti venduta ad altre realtà produttive, ma varie sono le referenze. Per esempio i classici vini già citati per gli altri 3 ma espressi con una filosofia operativa che sposa perfettamente il rispetto per le tradizioni contadine unite al pensiero moderno. L’azienda è situata nel centro storico del paese e oltre al vino è attiva anche nella produzione di nocciole e miele.
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La sede “rigenerata” della LUMSA a Roma in via Pompeo Magno a cura della Fondazione Bioarchitettura
Su iniziativa della Fondazione Italiana per la Bioarchitettura®, alla luce dell’allarmante crisi del clima manifestatasi nel hotspot delle aree del Mediterraneo è stato lanciato l’Appello per la conversione ecologica dei territori teso a definire una strategia di azione mirata a favorire la capacità di adattamento del territorio nazionale alle, ormai inevitabili, conseguenze dei cambiamenti climatici.
Il documento condiviso da Le Carré Bleu, feuille internationale d’architecture; l’Università La Sapienza Roma – Prorettorato alla Sostenibilità; il CNAPPC – Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori; l’IN-Arch Istituto Nazionale di Architettura; Alleanza per il Clima; AzzeroCO2; Legambiente; Italian Institute for the Future; Civilizzare l’Urbano ETS e UNAGA è stato inviato alle più importanti istituzioni e cariche governative e a tutti quei soggetti pubblici e privati che condividono intenti e finalità della Fondazione.
In un momento storico in cui la “Casa Comune” vive una condizione di forte fragilità, e in cui le catastrofi dovute ad inediti fenomeni climatici sono all’ordine del giorno, siamo tutti chiamati a rivedere le nostre azioni e scelte in funzione della salvaguardia del pianeta. Di seguito il testo integrale dell’Appello.
LINEE DI INDIRIZZO PER RIGENERARE I TERRITORI, ARTICOLAZIONI DELLA CONOSCENZA E FINE DELL’IGNORANZA INGIUSTIFICATA
1. Conoscere
La crisi ecologica si manifesta con eventi catastrofici, è sostenuta dal funzionamento quotidiano delle società industrializzate, genera cambiamenti climatici e riduzione della biodiversità. Per ragioni sistemiche crescono le situazioni d’incertezza e imprevedibilità proprio a causa della semplificazione della biosfera e la creazione di squilibri causa riduzione della complessità e interconnettività.Lo stretto legame tra benessere umano e salute dei sistemi naturali è alla base del “Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development” nel quale l’Assemblea generale dell’ONU nel settembre 2015 ha definito i diciassette obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals), fra loro interconnessi e tesi ad ottenere un futuro migliore con ottica transgenerazionale. Nel dicembre 2015 hanno portato all’Accordo di Parigi, primo accordo universale giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici anche se oggetto di alterne vicende e mediazioni. L’insieme di temi e loro disarticolazioni, che presuppone una intesa planetaria, va sostenuto anche da iniziative di scala ridotta. Questo quindi è un appello ampio, diretto a tutti, teso a sensibilizzare su quanto possono fare i singoli governi, le singole comunità, associazioni e gruppi di pressione e che quindi può avvalersi del contributo di ciascuno e di tutti.
Il progetto di “Dichiarazione dei Doveri dell’Uomo” in rapporto all’habitat e agli stili di vita, nel rispetto delle diversità, era animato da analoga tensione: una effettiva mutazione a scala globale richiede azioni consapevoli dei singoli e attenti monitoraggi. Venti anni fa “Sustainability Sustains Architecture” era uno slogan efficace. Oggi c’è necessità di approfondire anche come agire per far sì che nuovi principi per le trasformazioni degli ambienti di vita contribuiscano ad un pianeta sostenibile. Attualmente più del 20% degli europei abita in aree a rischio: occorre evitare incrementi e programmare processi di delocalizzazione. Conoscere è il primo importante passo per la conversione dei territori e per avviare un vero e concreto processo di trasformazione e di lotta ai cambiamenti climatici. Implementando Google [Microsoft, Apple o IGM in Italia] è possibile la rappresentazione simultanea – su layer distinti – di tutte le informazioni che riguardano i territori adeguandola man mano che si evolvono: aspetti geologici, idrogeologici, microzonazione sismica, vegetazioni, paesaggi, limiti, vincoli e via dicendo. Su questa base sarà possibile riportare progressivamente anche quanto riguarda le decisioni assunte relative alla pianificazione e al futuro del territorio. Queste informazioni devono essere rese agevolmente consultabili da chiunque, perseguendo l’obbiettivo di riportarle a congruenza, limitare gli errori, facilitare la formulazione e l’esame di alternative, ma soprattutto velocizzare le procedure e le decisioni.
2. Rigenerare
Rifuggendo ogni ottica settoriale, gli attuali apparati normativi vanno convertiti in raccomandazioni, debbono favorire il ricorso a materiali CO2 free, al recupero e riciclo, a sistemi zero emissioni CO2. Nello stesso tempo devono suggerire best practices; evitare consumo di suolo (in Italia 7% del totale, quasi il doppio che in Europa), assicurare massima permeabilità, densità, compattezza e intrecci funzionali nel costruito, flessibilità costruttiva, riciclo dei materiali, ciclo dell’acqua, compresenze vegetali. Per decenni gli impianti tecnologici hanno contribuito a mitigare errori di concezione nei progetti e il mito della tecnologia ha reso fiduciosi della possibilità di spostare il corso di un fiume, di costruire su un terreno franoso, di far fronte alle forze della natura. I cambiamenti climatici hanno interrotto la consuetudine di pensare che gli uomini potessero dominare l’irruenza della natura, mostrando ormai inedite catastrofi e imprevedibili fattori moltiplicativi.La fiducia nella tecnologia sta spingendo, inoltre, verso azzardate proposte di geoingegneria, in cui il contrasto ai cambiamenti climatici è affidato a ciclopici progetti in atmosfera o nello spazio, ignorando oltre settant’anni di studi sulla complessità della biosfera e l’impossibilità di prevedere le conseguenze di lungo termine dell’invasività tecnologica di larga scala sul sistema planetario. Le tecnologie consentono di indagare, conoscere, monitorare, innestare simulazioni e previsioni, velocizzare l’informazione, mettere in immediata relazione fenomeni diversi e prospettare le conseguenti soluzioni. Case passive, principi nZEB e logiche della “città dei pochi minuti” limitano la domanda di energia e facilitano il ricorso a fonti rinnovabili.Si tratta di fondere quanto fin qui programmato, governato e attuato in maniera separata: pianificazione, edilizia, aspetti sociali ed economici.
3. Facilitare
Compete alla politica sviluppare ottiche transgenerazionali e agire con visione sistemica e non settoriale: quindi innestare criteri di finanziamento e inserire obiettivi di recupero e misure ecologiche nelle disposizioni urbanistiche ed edilizie. Ogni comunità deve dotarsi di spazi di vario livello ove raccogliere testimonianze del suo passato, rappresentazioni del presente, simulazioni delle alternative sul suo futuro. In tal modo la trasformazione e la conversione dei territori potranno avvalersi di procedure di partecipazione civica supportata da esperti. Gli esperimenti condotti su piccola scala a livello internazionale attraverso l’impiego di metodologie partecipative di anticipazione, come i Future Workshop o il metodo dei Tre Orizzonti, hanno dimostrato che le comunità assumono maggiore consapevolezza e quindi condivisione del loro futuro se possono discuterlo e determinarlo collettivamente. Il carattere della crisi ecologica e l’urgenza di cambiare modi di costruire e abitare, di avvalersi di energie rinnovabili, di intervenire su comportamenti e mobilità richiede il coinvolgimento di una grande varietà di attori, con responsabilità, risorse, competenze diverse e ampi spazi per poter elaborare e discutere i percorsi di conversione ecologica in un processo partecipativo e coproduttivo. L’habitat participatif sensibilise les habitants au respect de son environnement humain et naturel, et incite à utiliser des techniques constructives «frugales», à remplacer la griserie de la vitesse par les joies du jardinage; à remplacer l’individualisme consumériste par la solidarité, l’entr’aide de voisinage et le goût pour les produits locaux et naturels. L’articolazione nel tempo degli obiettivi, dei programmi e degli strumenti, richiede verifiche
costanti con cadenza almeno biennale “La burocrazia può essere considerata come una patologia amministrativa dove l’eccessivo accentramento, l’eccessiva gerarchia, l’eccessiva formalizzazione delle procedure tolgono ogni iniziativa, ogni senso di responsabilità a coloro che possono solo obbedire, mentre l’eccessiva specializzazione isola ogni agente nel suo comportamento… senza incoraggiarlo ad esercitare la sua intelligenza… La burocrazia… racchiude. La responsabilità personale in un piccolo settore, ma inibisce la responsabilità personale di ciascuno verso il tutto di cui fa parte. In effetti, la burocrazia genera irresponsabilità, inerzia e disinteresse al di fuori del settore compartimentato in cui ciascuno lavora”. Edgard Morin
Nel 2019 si è fatto un passo importante per aumentare la disponibilità del vettore idrogeno prodotto da energia solare. Oggi è possibile agevolmente separare idrogeno e ossigeno attraverso l’elettricità e produrre idrogeno che non emette biossido di carbonio, infatti quando brucia produce solo acqua e quindi incide sui cambiamenti climatici. Le “Hydrogen Valleys” rappresentano aree geografiche dove diverse applicazioni di idrogeno sono combinate insieme in un ecosistema integrato, che prevede produzione, consumo, sperimentazione e formazione riguardanti il vettore idrogeno. Le Hydrogen Valley hanno un carattere territoriale e si riferiscono all’uso dell’idrogeno in prossimità del suo luogo di produzione. Nell’intento della Comunità Europea è importante il ruolo assegnato alle Hydrogen Valley nell’attività propulsiva verso il raggiungimento degli obiettivi, con particolare riferimento alla ricerca e sviluppo in chiave territoriale per la promozione dell’industria locale. L’approvvigionamento in ambito urbano e la relativa decarbonizzazione, da realizzare progressivamente fino al 2050, ha un ruolo fondamentale per l’importanza che le città rivestono in termini di attività energivore, definita dalle alte concentrazioni di tessuto abitativo e di logistica dei trasporti.
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Si è tenuta ieri sera 9 agosto 2021 a Fossacessia (Ch) una splendida serata all’insegna della solidarietà, dello spettacolo e della buona cucina. Padrone di casa il Sindaco Enrico Di Giuseppantonio, ha condotto la serata la dirigente ARGA Abruzzo Angela Curatolo che, per conto dei giornalisti specializzati UNAGA, ha consegnato una targa all’associazione “Liberamente” di Pescara, premiandola per la sua attività. Sponsor solidale della serata Monteselva Vini.
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di Carlo Morandini, Presidente Arga Friuli Venezia Giulia
È un pezzo di quelli che un giornalista non vorrebbe mai scrivere, perché traccia il ricordo di un collega, di un maestro, di un vicino di casa discreto ma sempre presente e amico, appassionato, nei momenti di relax, del mare. Sostenitore da sempre dell’attività di ARGA FVG, poi dell’idea della Riviera friulana, ha trasmesso al mondo dell’informazione la ricetta di un percorso giornalistico esemplare, che non ha mai voluto debordare dal ruolo e dal suo stile di comunicazione, schietto, rispettoso delle tradizioni e delle identità, del sentire della comunità dove stava operando, ma sempre innovativo. Un modello del mestiere di giornalista, cavalcato fino alla fine per imprimere il suo pensiero su una macchina da scrivere tradizionale, la Olivetti Lettera 22, e dare al ritmo del picchiettare deciso ma allo stesso tempo gentile su quei tasti il compito di rendere armonica una notizia, spesso graffiante perché vista attraverso la lente d’ingrandimento attenta ma equilibrata del buon padre di famiglia, vestita, da editorialista, da ‘Noterelle del nostro tempo’. Questo lo stile, replicato nel ruolo di direttore di quotidiano dal fratello Luigi, scomparso nei giorni scorsi, e dal figlio Ario, uno stile di famiglia che contraddistingue anche i figli Luca e Cecilia, con il quale Sergio Gervasutti ha saputo conquistare i lettori in realtà differenti con problematiche e carature forse anche diametralmente opposte. Spesso accomunate dall’elemento acqua che amava, dallo Ionio all’Alto Adriatico, al fiume Stella che raggiungeva con sempre rinnovata curiosità: dal Veneto socializzante, costruttivo ma brioso, con il Gazzettino del quale è stato anche vicedirettore, a Como, realtà lacuale dal passato letterario ma profondamente legata all’economia lombarda, dove ha diretto La Provincia di Como, al suo Friuli, per arrivare alla guida del Messaggero Veneto a dare il cambio, quasi inaspettatamente, per scelta dell’Editore, al Direttore storico della testata udinese, Vittorino Meloni, cioè colui che creò il primo quotidiano italiano stampato a colori con le tecniche offset e la prima copertina con foto a colori. Proprio nel Messaggero ha potuto da subito dare sfogo all’amore per la terra che lo ha generato, il suo Friuli. Ha voluto e saputo trasformare il quotidiano friulano per contenuti, stile, quell’armonicità che sarebbe piaciuta ai lettori dei paesini più sperduti della montagna, come al mondo dell’economia e della politica. Personalmente, i ricordi più vivi di Sergio risalgono a quando, da collaboratore del Messaggero Veneto, ho potuto ampliare alcuni settori e rubriche, sempre attinenti alla valorizzazione di quel territorio che ha sempre avuto nel cuore. Così com’era attento alle attività dell’Arga FVG, l’Associazione regionale della stampa agricola, agroalimentare, dell’ambiente e territorio, che ho guidato e guido avendone ereditato l’imprimatur da Piero Villotta, e all’origine del mestiere da Claudio Cojutti. E seguiva da vicino l’affermazione dell’idea della Riviera friulana che aveva condiviso fin dalla pubblicazione del mio libro. Era proprio quel ‘territorio’ che lo affascinava. Non pago di avere avuto i natali a Palmanova, la città stellata custode di un vissuto austroungarico e napoleonico delle nostre terre, Sergio Gervasutti sentiva costante l’attrazione verso le pulsazioni del territorio, in particolare di quello rivierasco. Come l’amico e collega della Rai, Isi Benini, che lo aveva preceduto per alcuni mesi al Messaggero, e che pure io ho avuto come Direttore, prendeva ossigeno per l’informazione dalle energie che il territorio sa emanare per dare vita ad attività, iniziative, eventi, forme di coesione e di divulgazione insostituibili e che ogni buon giornalista deve saper cogliere per trasmettere l’essenza delle cose, del divenire, delle identità che sono la vera energia di una comunità. Tra i tanti riconoscimenti alla carriera, al ruolo, alle capacità di sintesi dei momenti chiave della vita locale e nazionale, avevo avuto il piacere di consegnargli, assieme ai vertici di Assoenologi e dell’Unione cuochi, a capo di ARGA FVG, il premio Carati d’autore, che viene assegnato ai personaggi benemeriti delle rispettive categorie professionali. E proprio lo scorso autunno avevo avuto l’onore di premiare uno dei suoi ultimi scritti: il ricordo del collega e amico Isi Benini. Assegnandogli il premio Isi Benini Città di Udine per avere redatto non il classico ‘coccodrillo’ cronistico dedicato a chi non c’è più, ma avere trasmesso ancora una volta un ritratto vivo di un personaggio che come lui ha voluto e saputo dare tanto al Friuli. Ancora una volta si è dimostrato un maestro nel mediare tra lo stile giornalistico schietto, preciso, da grande cronista qual’è sempre stato anche nel mondo dello sport con la sua amata Udinese, e la plasticità del racconto letterario sostenuto dalla sua grande cultura. Ci mancherà, mancherà anche ad ARGA FVG e all’Associazione culturale La Riviera friulana, il placet rassicurante sulle tante idee che gli avevamo sottoposto. Ma anche la certezza di poter avere un riscontro qualificante su idee, progetti, ipotesi e valutazioni.
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La XX° edizione di Cibus, cancellata nel 2020, si terrà da martedì 31 agosto 2021 a venerdì 3 settembre, a Parma. Per garantire la sicurezza dell’evento la Fiera sta cercando di evitare file ai botteghini della fiera, quindi anche allo sportello STAMPA. VIENE QUINDI RICHIESTO DI SEGNALARE PRIMA DELL’INIZIO DELLA FIERA IL PROPRIO ACCREDITO STAMPA.Sarà sufficiente inviare alla mail cibus@faniniufficiostampa.com il proprio nominativo, la testata di riferimento e il proprio indirizzo mail. Giungerà poi, direttamente dagli uffici di Fiere di Parma, il PASS personale via mail: da stampare e usare per superare i tornelli del quartiere fieristico. Viene anche ricordato che la stampa ha diritto al parcheggio gratuito, esibendo all’uscita di uno qualsiasi dei parcheggi della fiera di Parma il proprio PASS STAMPA (o il tesserino da giornalista). Infine, viene ricordato anche che per entrare a Cibus sarà necessario esibire il Certificato di vaccinazione o un tampone. L’Ufficio Stampa di Cibus rimane a disposizione per ogni altra informazione.
UFFICIO STAMPA CIBUS www.cibus.it
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Stop al pesce fresco a tavola per l’avvio del fermo pesca che porta al blocco delle attività della flotta italiana lungo l’Adriatico. Dal 31 luglio 2021 bloccate le attività dei pescherecci dal Friuli Venezia Giulia al Veneto, dall’Emilia Romagna fino a parte delle Marche e della Puglia. Lo stop inizialmente varrà da Trieste ad Ancona (dove si tornerà in mare il 5 settembre) e da Bari a Manfredonia (rientro previsto il 29 agosto), mentre lungo l’Adriatico nel tratto centrale da San Benedetto e Termoli le attività si fermeranno il 16 agosto (fino al 16 settembre). Per quanto riguarda il Tirreno il blocco scatterà da Brindisi a Napoli dal 6 settembre al 5 ottobre. Il 4 ottobre partirà, invece, il fermo da Livorno a Imperia mentre per Sicilia e Sardegna l’interruzione delle attività sarà, infine, fissata su indicazione delle Regioni mentre da Gaeta a Civitavecchia è stato effettuato dal 12 giugno all’11 luglio. Come lo scorso anno – spiega Coldiretti Impresapesca – in aggiunta ai periodi di fermo fissati i pescherecci dovranno effettuare ulteriori giorni di blocco che vanno da 7 a 17 giorni a seconda della zona di pesca e del tipo di risorsa pescata. Il fermo cade quest’anno in un momento difficile poiché il blocco dell’attività va a sommarsi all’aumento drastico della riduzione delle giornate di pesca imposta dalla normativa europea, per le imbarcazioni operanti a strascico. Le giornate di effettiva operatività a mare sono scese per alcuni segmenti di flotta, per i segmenti di maggiore tonnellaggio, a circa 140 all’anno.
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E’ ufficialmente on line sul sito https://journalismawards.eitfood.eu/it/ il bando della seconda edizione italiana del Premio al Giornalismo nell’ambito dell’ innovazione e della sostenibilità alimentare e quindi si possono già presentare le candidature.
Il premio è promosso da Eit Food, l’Organizzazione europea leader nel campo dell’innovazione alimentare, costituita da un consorzio di aziende, centri di ricerca e università di tutta Europa allo scopo di migliorare lo stile di vita dei consumatori attraverso la conoscenza e la tecnologia. UNAGA-FNSI è onorata di essere stata scelta per la seconda volta come organizzazione giornalistica italiana specializzata, partner del Premio e invita calorosamente i colleghi iscritti alle ARGA di tutte le regioni italiane a partecipare.
“In un anno segnato dalla crisi pandemica – commenta il Presidente della nostra Unione Roberto Zalambani – è dovere dei comunicatori di settore contribuire alla trasformazione dell’ecosistema alimentare, diffondere i valori associati a un’alimentazione sana e sostenibile, facilitare l’accesso dei consumatori ad alimenti di qualità con informazioni corrette, precise e veritiere”.
Tutti obiettivi che il Premio cerca di raggiungere sollecitando i giornalisti,soprattutto i giovani che si affacciano con speranza e timore alla nostra professione, a mettersi in gioco come hanno fatto i vincitori della prima edizione Valentina Celi (Calabria) e Tommaso Cinquemani (Lombardia).
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